Questo
volumetto vuole essere un omaggio a "nonno Tranvà
carrattiere burlone". Filippo Greggi, nato a Montecelio nel
1871, nonno paterno e omonimo dell'autore.
Di
seguito sono riportati alcuni episodi di cui in questo libro si
riferisce.
........ Diceva di non aver mai avuto paura di nulla e di nessuno.
Chissà però se era vero che nonno Tranvà
non aveva paura!
Il suo coraggio sarebbe stato messo alla prova se quando si era
affacciato al muro del camposanto per salutare i due viandanti
qualcuno lo avesse preso per le gambe e magari con una voce cupa
gli avesse detto: - "Adesso vieni giù anche tu"!
Si dice che una volta, in un'analoga situazione, proprio questo
gli fece suo cugino Raffaele, causandogli uno spavento da colpo
apoplettico. Quando gli si chiedeva se ciò fosse realmente
accaduto rispondeva: - Questo
non è vero -. E
commentava allo stesso modo anche di quella volta, tra le tante,
che si era messo dinanzi al cancello del Camposanto a fare il
fantasma, coperto dal solito lenzuolo bianco, per spaventare un
viandante che aveva con sé un fucile carico.
Al suo gridare la vittima, anziché scappare impaurita,
avrebbe messo lo schioppo in spalla e, nell'alzare il cane del
fucile, gridato:- "Altolà"- mentre lui, spaventatissimo,
avrebbe risposto: - No' sparà', che so' Tranvà.
- Questo
non è vero, si dice così solo perché fa rima - ripeteva.
In verità troppe persone hanno rivendicato, nel tempo,
il ruolo di protagonisti dell'episodio, tanto da renderlo inverosimile.
Confermava
di aver avuto paura soltanto in pochissime occasioni. Una volta
verso Monterotondo, un'altra quando Agostino - mio padre - a tre
anni gli cadde dal carretto; un'altra ancora quando Ottavio Martini
gli fece volare via il cappello con un colpo di pistola perché
qualche giorno prima, mio nonno, lo aveva fatto cadere dentro
un fontanile mentre, salito sul bordo, tentava di mettersi a cavallo.
Nonno Tranvà, passando, aveva solo detto: - Aah! - ed il mulo di Ottavio, obbediente, aveva fatto qualche passo
in avanti.
Non gli dispiaceva, già ultraottuagenario, di risalire
la scalinata o Via Capo Croce montando "a pelo" un cavallo
bianchiccio e ......
ritornando a casa riportava, immancabilmente, una fascina o pezzi
di legno che sistemava sul ballatoio delle scale, di fronte al
camino che d'inverno teneva sempre acceso e che riattizzava in
continuazione, fino a quando andava a coricarsi. Ciò avveniva
molto presto e mai si sprangava la porta di casa; anzi si lasciava
la chiave nella toppa.
Nonna Maria lasciava fuori la chiave anche perché aspettava
che la lattaia, nel serale giro di distribuzione del latte, potesse
salire liberamente e riempire il bollitore che le lasciava bene
in vista sul tavolino. Una sera però dovette rialzarsi,
mentre nonno Tranvà faceva finta di dormire. Era arrivata
la lattaia con la tipica brocca d'alluminio: non trovava il bollitore
e chiese dove dovesse versare il solito quarto di litro di latte.
- "Il recipiente sta sul tavolino" - diceva nonna Maria.
La lattaia incredula rideva: sul tavolino quella sera c'era un
vaso da notte e nonno Tranvà continuava a far finta di
dormire.
Era vecchio ma ancora burlone!
Il
progresso spinge a non usare più il dialetto nella sua
originalità o addirittura a nonusarlo affatto. Ne deriva
così la morte della lingua ricca di memorie e di radici.
Filippo Greggi con "Il tesoro della Memoria" ci fa scoprire
invece che Montecelio, per fortuna, ancora conserva un dialetto,
sebbene sfrondato di alcune espressioni arcaiche.
Il linguaggio presentato nel libro è il parlato della generazione
dell'autore. Sono storie reali, favole, tafore,scenette teatrali,
ricordi e poesie, come queste:
PRIMU FRIDDU
Piovillica
e pennecchja da tre dì.
Nne loru méu do' merle 'ngordonite bbeccanu 'e pallocchette
nere.
Pe' terra se nnatica
ruspenno 'na covancinciuletta.
U petturuscii,
padrone de 'a fratta
se 'mpavona
(o 'u spulla u ventu).
'N lampu. Ha tonecau.
Refuju tutti
tra i generusi macchjuni de 'e Carpeneta.
Sparisciuu tra coluri
che chinca pittore
vorrìa sapé refà
PRIMO FREDDO
Pioviggina e nevischia da tre giorni.
Nel mio alloro due merle golose
beccano le bacche nere.
Per terra si scuote raspando con le zampette una piccola cinciallegra.
Il pettirosso,
padrone della siepe
si impettisce come un pavone
(ma è il vento che gli gonfia le piume!)
Un lampo. Un tuono.
Tutti gli animali fuggono a nascondersi
tra i generosi cespugli delle Carpineta.
Spariscono tra colori
che qualsiasi pittore
vorrebbe saper dipingere.
U PAESE MEU
U paese meu
è quillu de sbinnonnemi…
'n pressepiu de casi a carge
reppennicatu 'n faccia a Roma
'ddó
'n concerto de campane
da tre acchjese 'n celu va
e de carnevale, a tammoréllu
se stornella fior de 'gni cósa
e non manca mmai gnisçiunu
a 'n accompagnu o a precessione
de 'a Madonna d'agustu o d'abbrile;
'e vunnelle 'ncantaru Pinelli
i pocinelli e i cellitti cchjcchjanu
i jattarelli giocanu a murè e padregirò,
dòpedo, zicula e brusçio,
i vignaróli stannanu, ccajanu, rencuveranu,
e da 'e fratti che de primavera
'ddoranu d'acacia e de ginestra
sfucanu musçerte e racani
e brillanu co' 'a lucetta de 'e cucciulapentule,
'ddó se recconteanu 'e farfalluche
de Gnelella e Cicinfanfarronittu
e de Fati, Dame e Gnóffi
ch'ha datu 'n re a Roma ,
bianca pietra a tuttu u Munnu
e suvore e sangue pe' 'lla pietra.
U paese meu è quillu
'ddo tutti se jamanu pe' nome.
È Monticelli.
IL MIO PAESE
Il mio paese è quello dei miei bisnonni
un presepe di case
arrampicato su un colle di fronte a Roma
dove
un concerto di campane
di tre chiese in cielo và
e a carnevale stornelli
accompagnati dal tamburello,
dove pochi mancano ai funerali
o alle processioni
della Madonna d'agosto o
di aprile;
le vunnelle incantarono Pinelli
si sentono pigolare pulcini e uccelletti,
i bambini fanno
giochi di piazza
i contadini attendono con cura
ai lavori dei campi
e dalle siepi
che a primavera
profumano di acacia e ginestra
escono ancora correndo lucertole e ramarri
e si illuminano dell'internittenza delle lucciole;
dove si raccontano le favole
di Cappuccetto Rosso e Pollicino,
di Fate, Dame e folletti,
che ha dato un re a Roma
e bianco travertino a tutto il Mondo
e sudore e sangue per estrarre quella pietra.
Il mio paese è quello
dove tutti si chiamano per nome.
È Monticelli.